Riciclato
riciclabile
durabile
sostenibile
tracciabile
Le origini del cardato rigenerato
Introduzione della lana rigenerata e la stracciatrice a secco
La novità più importante per la produzione tessile pratese dell’ultimo secolo e mezzo è senz’altro costituita dalla fabbricazione di tessuti mediante l’utilizzo di lana rigenerata. Questo tipo di lavorazione risale infatti alla metà dell’Ottocento ed è basata sull’introduzione di un’invenzione destinata a cambiare, nel giro di pochi anni, tutta la produzione del territorio pratese: si trattava della stracciatrice a secco.
Questa macchina, in realtà, era stata messa a punto, nel 1813, dall’inglese Beniamino Law, in seguito all’idea di riutilizzare i cascami delle filature e delle tessiture di lana. Secondo Alessandro Rossi, queste macchine ebbero diffusione in Italia dopo il 1855, quando i primi esemplari furono mostrati all’Esposizione di Parigi. Tuttavia è invece attestato che tale congegno fosse già giunto, un po’ in sordina, qualche anno prima proprio a Prato.
La stracciatrice a guazzo e l’innovazione pratese
Tuttavia la vera innovazione pratese, arrivata fino ai nostri giorni, fu l’invenzione della stracciatrice a guazzo, mossa questa volta da un motore idraulico, ovvero una sorta di vasca ellittica in cui gli stracci venivano immessi nell’acqua, per ammorbidirne le fibre, e quindi stracciati mediante tamburi dentati, realizzata mutuando il procedimento della vasca olandese utilizzata nelle cartiere, le quali in effetti già da secoli recuperavano vecchi stracci, anche se di origine vegetale, a differenza del processo pratese che invece impiegava la lana.
Questa innovazione fu introdotta a Prato nel 1854 da Francesco Pisani e Carlo Valdrè nell’edificio della Torricella, questa volta in gran segreto. Purtroppo però, per i due imprenditori, lo storico complesso della Torricella era composto da vari fabbricati, tutti dotati di ruote idrauliche facenti capo alla stessa gora, creando quindi una certa vicinanza tra varie lavorazioni che vi dimoravano. Il Pisani, proprio per questo motivo, aveva inutilmente tentato di portare la sua macchina segreta, lontana da occhi indiscreti tentando, inutilmente, di farsi affittare da Ranieri Buonamici la dismessa ferriera di Gabolana in Val di Bisenzio, dichiarando elusivamente, ma non troppo distante dalla realtà, che vi avrebbe voluto impiantare una cartiera.
Tuttavia non essendo riuscito nell’intento fu costretto a rimanere alla Torricella, di cui una parte affittata ad un certo T.C. (come scrive misteriosamente il Bruzzi nel 1920) il quale vi esercitava una lavorazione di filatura. Il nostro oscuro imprenditore, ardentemente desideroso di carpire il prezioso segreto, approfittando della vicinanza e della condivisione del sistema idraulico, nottetempo si introdusse nella gora e penetrò nella fabbrica del Pisani dove poté finalmente osservare indisturbato l’innovazione. Inutile dire che dopo poco anch’egli si dotò di un simile meccanismo che poi progressivamente si diffuse ad altri imprenditori e che, in seguito, ha fatto gran parte delle trascorse fortune dell’industria tessile pratese.
Diffusione della stracciatura e nascita dell’industria pratese
L’identità del misterioso imprenditore è facilmente deducibile dall’analisi degli imprenditori attivi all’epoca, dalla quale si evince che quasi sicuramente si trattasse di Tobia Cai il quale, ironia della sorte, nel 1863, riesce invece a farsi affittare dal Buonamici proprio quella ferriera individuata dal Pisani, dove collocherà appunto una stracciatrice a guazzo, divenendo in seguito uno degli imprenditori più ricchi e famosi dell’epoca. Ma ormai il segreto era dilagato in tutta Prato e già l’anno successivo troviamo diciotto impianti di stracciatura operanti, destinati poi a moltiplicarsi ulteriormente ed a cambiare le sorti produttive dell’intera città.
È interessante poi osservare come questa attività finì per costituire, soprattutto nell’alta Val di Bisenzio, una sorta di complemento all’attività molitoria. In realtà una certa commistione tra la molitura ed il mondo tessile si era già avuta con il frequente affiancamento di una gualchiera alle macine del mulino, anche se, sostanzialmente, la figura del mugnaio e del gualchieraio rimanevano distinte, condividendo però lo stesso sistema idraulico. Anche se i mugnai non furono i primi ad installare tali impianti, furono senz’altro tra i primi ad entrarvi in contatto da vicino, talvolta anche in contrasto, essendo gli impianti idraulici spesso polivalenti, trovandosi quindi gomito a gomito con tali nuovi apparati, dovendo peraltro frequentemente contendere con essi, l’utilizzo della preziosa energia idraulica.
I mugnai che colsero questa opportunità, si trasformarono quindi nei primi piccoli imprenditori tessili, come avvenne nel caso di Cecconi e di Turchi a Terrigoli, di Biagioli a Cerbaia, di Bellandi al Fabbro e dei Bardazzi a Vaiano e Camino, fino ad arrivare a costituire veri e propri processi integrati di produzione del tessuto, come ad esempio Meucci di Vernio, decretando un definitivo passaggio da un settore all’altro, ovvero dall’essere mugnaio, ad essere completamente imprenditore tessile.
L’evoluzione della lana rigenerata
La nuova fibra, che così si otteneva, assunse il nome di lana rigenerata, la quale utilizzata in mescola con quella nuova, con altre fibre o anche da sola, subiva poi tutta la trafila della filiera tessile per divenire, quindi, nuovamente un tessuto. Se però in un primo tempo si erano usati solo ritagli e cascami di tessuti, ben presto si cominciarono ad utilizzare anche vecchi indumenti, ed in breve tempo Prato si trasformò nella capitale mondiale degli stracci, come del resto stigmatizzò lo stesso Malaparte in Maledetti Toscani, quando affermò che “tutta a Prato va a finire la storia d’Italia e d’Europa: tutta a Prato, in stracci“.
La lavorazione degli stracci era quindi ormai diventato un lavoro esercitato da una vera e propria schiera di piccoli artigiani, anche se ci furono tuttavia imprenditori che affrontarono la questione su larga scala, facendo di questo commercio, e prima trasformazione, la loro principale attività. Uno dei maggiori e prematuri esempi è senz’altro costituito da Michelangelo Calamai il quale, nel 1878, impiantò a questo scopo un grande stabilimento proprio nei pressi della stazione ferroviaria di Prato, sorta sulla strada ferrata Maria Antonia.
La carbonizzazione delle fibre e il trattamento chimico
Successivamente, i principali lanifici esercitarono al loro interno questa attività, anche se non mancarono nel corso del Novecento imprenditori che continuarono ad occuparsi di questa attività in maniera esclusiva, come nel caso di Sanesi Sanesino ed Enrico Befani. Quindi, quando nell’industria delle lane rigenerate divenne sempre più massiccio l’impiego di stracci vecchi, nacque anche l’esigenza di eliminare industrialmente le fibre vegetali, che spesso si trovavano frammiste negli indumenti usati. Per risolvere questo problema, intorno al 1850, fu messo a punto, sempre in Inghilterra, un processo chimico di carbonizzazione delle fibre indesiderate; tuttavia per vedere.
Testo a cura di
Giuseppe Guanci
Giuseppe Guanci è architetto ed esperto di archeologia industriale, materia per la quale ha anche conseguito un Master di II livello. Si occupa di ricerche sul patrimonio industriale, sulla tecnologia della protoindusrtria e di progettazione di aree industriali dismesse, con particolare riferimento al territorio della provincia pratese.
È autore dei volumi: La Briglia in Val di Bisenzio. Tre secoli di storia tra carta, rame e lana; Costruzioni & Sperimentazione – L’attività del giovane Pier Luigi Nervi a Prato; I luoghi storici della produzione – Provincia di Prato – Val di Bisenzio; I luoghi storici della produzione nel pratese; Guida all’archeologia industriale della Toscana; Acqua & Energia – Dalla ruota idraulica alla turbina; I luoghi storici della produzione nell’empolese e la Valdelsa fiorentina; Prato, Personaggi & Prodotti; COLLE storia di un luogo, un’azienda, un museo;
Il patrimonio industriale pratese. Piccole storie di una grande tradizione produttiva; Imprese & imprenditori nel distretto pratese. Una storia dell’industria tessile dalla sua nascita fino ai giorni nostri. Ha inoltre pubblicato numerosi saggi sull’energia, la tecnologia e il patrimonio industriale, in riviste specializzate e libri, oltre ad avere tenuto conferenze, effettuato docenze e partecipato a convegni, sulle medesime tematiche. Guanci inoltre realizza sculture con un sottilissimo filo metallico, ma a differenza di uno scultore tradizionale lavora sul vuoto, per cui spesso viene appunto definito lo “scultore del vuoto”.
Queste sculture sono infatti caratterizzate dalla ricerca sul vuoto e ciò che esso “contiene”, nel tentativo di circoscriverlo con un sottilissimo filo metallico, con cui le figure vengono “disegnate” nello spazio, come una sorta di tessuto tridimensionale, che per questo motivo Guanci chiama “Tessoforme”, mutuato dalla sua conoscenza della storia del mondo tessile.